METADATI E LAVORO DIGITALE: I LIMITI DEL CONTROLLO E LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA
- DOTT.SSA DE ZORDO VERONICA
- 11 ago
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Nell’attuale contesto di digitalizzazione del lavoro, la gestione dei metadati – ovvero i dati che descrivono attività come orari di accesso ai sistemi, destinatari delle email, operazioni svolte sui file – pone rilevanti questioni giuridiche legate alla tutela della privacy dei lavoratori.
Secondo il Garante per la protezione dei dati personali, la raccolta e conservazione sistematica di questi dati può tradursi in un vero e proprio controllo indiretto dell’attività lavorativa.
Quando i metadati sono conservati per lunghi periodi o utilizzati per finalità diverse da quelle puramente tecniche, si applica l’articolo 4, comma 1, dello Statuto dei lavoratori.
Questo comporta l’obbligo per il datore di lavoro di stipulare un accordo sindacale oppure di ottenere un’autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro.
Fa eccezione solo l’uso di strumenti strettamente necessari allo svolgimento della prestazione lavorativa (art. 4, comma 2), eccezione che – come chiarito dallo stesso Garante – deve essere interpretata in modo restrittivo.
Un altro elemento chiave riguarda il tempo di conservazione: il Garante ha individuato in 21 giorni il termine massimo entro cui i metadati possono essere conservati senza necessità di accordi o autorizzazioni. Periodi più lunghi sono ammessi solo in presenza di documentate esigenze tecniche eccezionali, e impongono una valutazione d’impatto sulla protezione dei dati (DPIA), soprattutto in caso di trattamenti su larga scala o sistematici.
Nel rispetto del principio di accountability (responsabilizzazione), previsto dal Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), il datore di lavoro è tenuto a:
informare chiaramente i dipendenti sul trattamento dei metadati;
limitare l’accesso ai dati ai soli soggetti autorizzati;
garantire che eventuali fornitori terzi siano formalmente designati responsabili del trattamento.
La gestione dei metadati rientra a pieno titolo nel bilanciamento tra esigenze organizzative e diritto alla riservatezza del lavoratore, diritto oggi più vulnerabile che mai nel contesto digitale. Le imprese devono rivedere le proprie politiche interne alla luce delle norme sulla protezione dei dati, adottando misure di privacy by design e by default (art. 25 GDPR), con l’obiettivo di prevenire trattamenti illeciti e minimizzare i rischi.
In conclusione, il trattamento dei metadati non può essere lasciato a prassi opache o automatismi tecnici. Richiede, invece, consapevolezza giuridica, valutazione dei rischi e una chiara assunzione di responsabilità da parte dei datori di lavoro. In questo quadro, la figura dell’avvocato assume un ruolo centrale nel garantire il rispetto della legalità e la protezione effettiva dei diritti fondamentali dei lavoratori.
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