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CHI INQUINA PAGA: COSA DEVONO SAPERE DAVVERO LE PMI

  • Immagine del redattore: DOTT.SSA DE ZORDO VERONICA
    DOTT.SSA DE ZORDO VERONICA
  • 23 minuti fa
  • Tempo di lettura: 2 min
Immagine con scarponi su terreno contaminato e testo “Chi inquina paga? I rischi e le responsabilità dell’impresa che inquina o eredita un sito contaminato” – Studio Legale MB & Partners.

Per chi fa impresa, “chi inquina paga” non è uno slogan. È una regola concreta, con ricadute pesanti. Se un terreno risulta contaminato, anche solo in parte, chi viene individuato come responsabile deve sostenere tutti i costi di bonifica. Anche se non ha causato direttamente l’inquinamento. Anche se ha solo ereditato, affittato o acquistato un sito già compromesso.

Oggi il rischio non riguarda più solo le grandi industrie. Interessa anche laboratori, officine, aziende agricole, attività artigianali, spesso insediate da anni sul territorio. Basta un serbatoio interrato, uno sversamento non segnalato, un controllo ARPAV o una denuncia anonima. E il rischio si materializza: una diffida ambientale, un’ordinanza di bonifica, un procedimento che può bloccare l’attività.


Il danno ambientale non va mai in prescrizione

In molti casi, l’inquinamento è storico. Le imprese non lo hanno causato, ma ne ereditano le conseguenze. Quando il responsabile diretto è fallito, irreperibile o “intoccabile”, l’amministrazione punta su chi è presente e solvibile. Il risultato? Chi opera correttamente si trova a rispondere per errori altrui.

A questo si aggiungono procedimenti poco trasparenti, istruttorie deboli, responsabilità fondate su presunzioni. L’impresa riceve l’atto e ha pochi giorni per reagire, senza sapere quali dati sono stati raccolti o da chi. In assenza di una risposta tecnica e legale forte, il silenzio diventa consenso. E l’impresa finisce schiacciata tra obblighi ambientali, costi imprevisti e perdita di credibilità.

Cosa rischia una PMI?

  • Spese di bonifica anche a sei cifre, spesso non previste né assicurate.

  • Fermo dell’attività per motivi ambientali o per blocco dell’immobile.

  • Difficoltà nel vendere, affittare o valorizzare i beni aziendali.

  • Contenziosi con enti pubblici, ARPAV, privati o finanziatori.

  • Danni all’immagine e perdita di affidabilità sul mercato.

Come difendersi? Cinque azioni concrete

  1. Conoscere il sito: prima di acquisire un’area o un capannone, fare verifiche ambientali reali, non solo catastali.

  2. Controllare la storia: chiedere la documentazione tecnica, autorizzativa e ambientale pregressa. Chi ha operato prima? Che attività erano presenti?

  3. Tracciare ogni intervento: conservare tutte le comunicazioni con gli enti, le analisi del suolo, i conferimenti rifiuti, le autorizzazioni.

  4. Agire subito in caso di incidente: ogni sversamento o anomalia va segnalato. Il silenzio aggrava la posizione e può diventare responsabilità implicita.

  5. Non firmare o ignorare: se arriva un’ordinanza o una richiesta strana, rispondere. Con rigore, ma anche con competenza. Ogni parola conta.

La PA deve fare la sua parte

Il principio “chi inquina paga” deve valere per chi ha realmente causato un danno, non per chi si trova lì per caso. Troppo spesso, invece, l’amministrazione colpisce chi è semplicemente “a portata di mano”. Si evitano accertamenti complessi, si emettono ordinanze standard, si scarica la responsabilità su chi è rimasto.

Questo approccio è non solo ingiusto, ma inefficace. Blocca la rigenerazione urbana, scoraggia investimenti, aumenta il contenzioso. Le bonifiche si fermano, il degrado resta.

Il principio è corretto, ma va applicato bene

Le PMI non si sottraggono alle loro responsabilità. Ma chiedono certezze, correttezza procedurale, trasparenza. Chiedono che la pubblica amministrazione sia alleata nella prevenzione, non solo controparte nella repressione. Serve collaborazione, competenza, dialogo tecnico.

Ambiente e impresa non sono in contrasto. Ma serve equilibrio. E serve consapevolezza che l’ambiente è un valore, non un rischio legale da temere.

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