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Sull’ammissibilità al passivo fallimentare del creditore in possesso di titolo. E in caso di ABF?

Con Sentenza n. 8463 pubblicata il 15 marzo 2022, la Corte di Cassazione sancisce un innovativo ed inedito principio, per l’oggetto del contendere privo di precedenti, in materia di liquidazione coatta amministrativa delle banche venete, in ordine alla possibilità per il creditore-risparmiatore di essere ammesso (ancorché con riserva) al passivo fallimentare.


L’iter argomentativo della Suprema Corte si sviluppa attraverso un’attenta esegesi del dato normativo, che vede l’intrecciarsi di norme speciali, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata.


Il combinato disposto di riferimento è dato infatti dalla legge fallimentare (art. 96 co. 2, n. 3 R.D. 267/1942), dalla normativa bancaria (art. 80 T.U.B.) ed infine dalla disciplina della liquidazione coatta amministrativa delle banche venete oggetto del D.L. 25 giugno 2017 n. 99.

In particolare l’art. 2 del D.L. n. 99/2017 rinvia al T.U.B., per tutto quanto non previsto e disciplinato, e quindi, per quel che qui interessa, nei casi in cui non avvenga la cessione dei crediti da parte dei commissari liquidatori. Ne deriva che per i crediti non ceduti si segue il procedimento di formazione dello stato passivo, secondo le norme del t.u.b. e di quelle in esso richiamate. In particolare si può ritenere applicabile l’art. 80 sulla liquidazione coatta amministrativa delle banche che prevede al comma 6 (anteriormente all’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza) l’applicazione, ove compatibili, delle norme della legge fallimentare, e segnatamente quelle in materia di liquidazione coatta, e conseguentemente l’art. 96 co. 2, n. 3 l. fall. Quest’ultima norma stabilisce che i crediti accertati dal giudice ordinario o speciale con sentenza non passata in giudicato, pronunciata prima della sentenza dichiarativa di fallimento, sono ammessi al passivo con riserva.


Ciò premesso, secondo un recente orientamento giurisprudenziale, la domanda formulata dal preteso creditore, in sede di cognizione ordinaria, anteriormente all’apertura della liquidazione coatta amministrativa e seguita da sentenza, diviene automaticamente improcedibile. Le azioni di qualsiasi tipo (cautelari, di cognizione, esecutive) divengono infatti improcedibili ed improseguibili nei confronti della banca insolvente in l.c.a. (Cass. n. 9461/2020).

Tuttavia, la Corte nella sentenza in commento, occupandosi per la prima volta degli effetti del D.L. 99/2017 sulla legge fallimentare e sulla l.c.a. bancaria comune, si discosta dal predetto orientamento accogliendo il principio secondo cui l’ammissione dei crediti con riserva è configurabile anche nello stato passivo delle l.c.a., entro i limiti esistenti nella formazione dello stato passivo fallimentare.

In conclusione, la Corte ha sancito il seguente principio di diritto: in tema di l.c.a. delle banche venete, sono ammessi i crediti con riserva nello stato passivo della liquidazione coatta amministrativa e pertanto i giudizi di condanna instaurati contro le banche di cui al D.L. 99/2017 anteriormente alla sentenza che apre la l.c.a. non diventano improcedibili, ma il creditore può servirsi del titolo in suo possesso potendo essere ammesso al passivo con riserva.


Una tale conclusione è più aderente al dato normativo e maggiormente rispettosa del principio della ragionevole durata del processo, dal momento che, diversamente opinando, si imporrebbe al creditore di iniziare ex novo un procedimento di accertamento del proprio credito mediante l’insinuazione al passivo, pur avendo già un titolo.


Quale sorte invece per i creditori/investitori in caso di decisione favorevole dell’ACF nei confronti delle banche venete anteriormente all’apertura della liquidazione?


Come noto, le decisioni dell’ACF non costituiscono un tipo di lodo rituale o irritualo e non possiedono efficacia vincolante per le parti. Conseguentemente, né le stesse sono equiparabili ad una sentenza ex art. 824-bis c.p.c., né può dirsi applicabile quanto previsto dall’art. 96 co. 3 n. 3 l.fall. che si riferisce a “crediti accertati con sentenza”, per quanto alla norma venga data per consolidata giurisprudenza una interpretazione estensiva.


Ne deriva che, in caso di mancato adempimento delle dette pronunce – che assumono mero valore negoziale – attesa la sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa delle banche, i crediti vantati e oggetto delle procedure di ADR possono trovare esecuzione esclusivamente sulla base della procedura di liquidazione. Come precisato dalla Consob infatti, “i commissari liquidatori, anche qualora ritengano di riconoscere come passivo il controvalore della decisione dell’ACF, non possono procedere a versare al ricorrente la somma determinata dall’Arbitro, se non a conclusione della procedura liquidativa e nei limiti degli attivi che dalla stessa residueranno. Da quanto detto discende l’inapplicabilità del regime pubblicitario previsto dall’art. 16, comma 3, del Regolamento ACF che prevede - in caso di mancata esecuzione, anche parziale, della decisione da parte dell’intermediario - la pubblicazione della relativa notizia sul sito web dell’ACF e, a cura e spese dell’intermediario inadempiente, su due quotidiani a diffusione nazionale…”.

Pur nei casi di decisioni ACF favorevoli per gli azionisti/investitori delle due banche venete in l.c.a. pertanto, i commissari liquidatori non possono dare esecuzione alle decisioni e troveranno applicazione le norme sulla procedura liquidativa.


In conclusione, allo stato attuale, alla luce di situazione di fatto inedite, che coinvolgono anche il tessuto economico-sociale per la loro portata, si ravvisa una giurisprudenza innovativa che sembra mostrarsi più incline a favorire il contribuente.

Ciò non implica che l’orientamento sul punto debba intendersi definitivo e che non si prospettino per il futuro contrasti in seno sia alla Suprema Corte che fra i Tribunali di merito, chiamati a definire le controversie e le numerose pretese di creditori e contribuenti insoddisfatti.


Avv. Eleonora Sartor



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