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LICENZIAMENTO RITORSIVO: QUANDO LE ACCUSE SCOMODE NASCONDONO UNA VENDETTA

  • Immagine del redattore: DOTT.SSA DE ZORDO VERONICA
    DOTT.SSA DE ZORDO VERONICA
  • 29 set
  • Tempo di lettura: 2 min
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Immagina di lavorare come dirigente bancario. Utilizzi l’auto aziendale e il carburante legittimamente per trasferte documentate, oppure sfrutti i permessi contrattuali previsti dal CCNL. Ti comporti in piena correttezza. Eppure l’azienda ti licenzia, sostenendo abusi nell’uso dell’auto, consumo eccessivo di benzina, permessi illegittimi.

Ma ciò che emerge è ben diverso. È la denuncia di criticità organizzative a scatenare la reazione: la vera causa del recesso è la ritorsione.

Questa la situazione affrontata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15330 del 9 giugno 2025: un licenziamento basato su accuse ingiuste (uso improprio di auto, benzina, permessi), che la Cassazione ha qualificato come ritorsivo, perché mosso da intento punitivo e non da ragioni effettive, con ciò rendendo l’intero atto nulla.

 

IL NODO GIURIDICO: ONERE DELLA PROVA A CARICO DEL LAVORATORE

Chi sostiene che il licenziamento è motivato da una ragione illecita – nel caso, appunto, la ritorsione – deve dimostrarlo. Questa prova, tuttavia, è gravosa: richiede elementi concreti, sia qualora si disponga di prove dirette, sia – più spesso – di presunzioni.

Che cosa sono le presunzioni?

Le presunzioni sono elementi indiretti (indizi), che – se gravi, precisi, e concordanti – consentono al giudice di trarre una conclusione probabile: ad esempio, la coincidenza temporale tra la critica e il licenziamento, la mancanza di contestazioni disciplinari reali, atteggiamenti del datore palesemente ostili. Questi elementi, letti nel loro insieme, possono legittimare la ricostruzione di un intento ritorsivo.

Nel caso in esame, secondo la Cassazione, le contestazioni relative a uso dell’auto, benzina e permessi non hanno trovato riscontro, mentre la vera motivazione del licenziamento era il fatto di aver sollevato criticità interne. Ecco perché la Corte ha concluso per la nullità del licenziamento e la necessaria reintegra del lavoratore, oltre al risarcimento del danno,

PERCHÉ È COSÌ IMPORTANTE?

  1. Nullità del licenziamento

    Se si prova, anche solo per via presuntiva, che il licenziamento è ritorsivo, l’atto è nullo ex art. 1345 c.c., con conseguente obbligo di reintegra nel posto di lavoro e risarcimento dei danni se è volontà del lavoratore ritornare in sede  altrimenti indennità sostitututiva pari a 15 mensilità (e pagamento dei relativi contributi) in uno al risarcimento danno subito

  2. Tutelare chi denuncia

    Questo principio difende il diritto del lavoratore di segnalare criticità o di esercitare diritti senza temere ritorsioni illegittime.

 

Concludendo, il caso dell’ordinanza 15330 del 9 giugno 2025 è emblematico: un lavoratore contestato per uso dell’auto, benzina, permessi – accertati però essere legittimi – viene licenziato perché ha fatto segnalazioni interne. La Cassazione accerta che l’unico vero motivo è la ritorsione, e dichiara nulla la decisione, con reintegra e risarcimento.

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