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L’ART. 1467 C.C.: L’ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA AL TEMPO DEL COVID-19

L’art. 1467 c.c. dispone che: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458.

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto.

La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.

L’eccessiva onerosità sopravvenuta, nell’ambito di un contratto a esecuzione continuata, periodica o differita, costituisce una circostanza che non impedisce la prestazione, ma la rende più “onerosa”, consentendo al debitore di ottenere la risoluzione del contratto o, in alternativa, la riduzione della prestazione.

La norma, da un lato, concede alle parti uno strumento per risolvere un contratto in caso di gravi modifiche della situazione, che siano tali da far venir meno l'equilibrio proprio dei contratti sinallagmatici.

D’altro lato, in virtù del principio di conservazione del contratto ed in un'ottica deflattiva, si consente anche all'autonomia delle parti stesse di riequilibrare la situazione squilibrata.

Va precisato che il contraente, la cui prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa non è automaticamente liberato dalla sua obbligazione; l'eccessiva onerosità sopravvenuta della sua prestazione gli attribuisce semplicemente — quando ricorrano determinati presupposti – il potere di chiedere al giudice la risoluzione del contratto.

Infatti: “Nei contratti a prestazioni corrispettive la parte che subisce l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione può solo agire in giudizio per la risoluzione del contratto, ex art. 1467, comma 1, c.c., purché non abbia già eseguito la propria prestazione, ma non ha diritto di ottenere l'equa rettifica delle condizioni del negozio, la quale può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione, ai sensi del comma 3 della medesima norma, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite”. (Cass. civ. n. 2047/2018).

L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter determinare la risoluzione del contratto richiede i seguenti requisiti:

1) nessuna delle due prestazioni deve essere stata interamente eseguita;

2) eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti, ossia rottura del rapporto di corrispettività economica tra i due arricchimenti delle parti, che si verifica quando venga ad esservi eccessivo squilibrio tra le utilità di una prestazione e le utilità della controprestazione. Lo squilibrio è eccessivo quando lo scarto tra le utilità di una prestazione e le utilità della controprestazione sia tale che (nei riguardi di un contraente) debba ritenersi frustrato lo scopo perseguito con il contratto stesso; venga cioè a mancare per detto contraente l'interesse all'esistenza di quel contratto;

3) riconducibilità della eccessiva onerosità ad “eventi straordinari ed imprevedibili”, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. In particolare, l'avvenimento è straordinario, quando è determinato da una di quelle cause che in statistica vengono chiamate accidentali, perché si verificano in via non normale; l’avvenimento è imprevedibile, inoltre, se, al momento della conclusione del contratto, un uomo medio non poteva aspettarselo

Senz’altro una pandemia, come quella che stiamo vivendo in questo momento, costituisce un evento “straordinaria ed imprevedibile”. Allo stesso tempo, però, non è semplice stabilire se il Coronavirus – e le misure restrittive adottate dalle autorità – possa costituire valida causa di sopravvenuta onerosità delle prestazioni contrattuali assunte dalle imprese.

Gli effetti giuridici del COVID-19 sui negozi stipulati dalle imprese dovranno essere scrupolosamente valutati ed esaminati caso per caso, tenendo conto di una pluralità di fattori quali, a titolo meramente esemplificativo, i fatti portati a sostegno del ritardo e/o dell’inadempimento contrattuale, l’incidenza specifica degli stessi sulla prestazione, l’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento.

A tale ultimo riguardo, va precisato che la domanda di risoluzione di un contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione deve essere corredata dalla rigorosa prova del fatto la cui sopravvenienza abbia determinato una sostanziale alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti.

L’eccessiva onerosità della prestazione, in altri termini, deve essere valutata sulla base di criteri rigorosamente oggettivi e deve essere tenuta distinta dalla mera difficoltà di adempimento, cui l’ordinamento non attribuisce alcuna rilevanza giuridica (né ai fini della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, né ai fini di una giustificazione dell'inadempimento).

Se la parte nei confronti della quale viene domandata la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta vuole evitare lo scioglimento del contratto, allora potrà offrire alla controparte di modificare “equamente” le condizioni dello stesso, secondo una valutazione di buona fede che riequilibri il rapporto contrattuale.

Con riferimento a tale aspetto, possiamo ritenere che, alla luce dei principi generali dell’ordinamento giuridico e, in particolare, alla clausola generale della buona fede (articoli 1366 e 1375 del codice civile) e al principio di equità integrativa (articolo 1374 del codice civile), sia configurabile una sorta di diritto della parte che subisce eventi sopravvenuti di rinegoziare i termini del contratto, e, ovviamente, per l’altra parte un obbligo, fondato sul dovere di comportarsi secondo buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, di acconsentire alla rinegoziazione.

L’obbligo di rinegoziare, in sostanza, comporterebbe il dovere, in presenza di determinati presupposti di oggettivo squilibrio contrattuale, di aderire all’invito a rinegoziare accettando le modifiche proposte o proponendo soluzioni che, nel rispetto dell’economia del contratto e tenuto conto della propria convenienza economica, permettano di riequilibrare il rapporto contrattuale. Naturalmente, l’esito negativo di questa attività di rinegoziazione non potrebbe costituite in sé e per sé un inadempimento all’obbligo di rinegoziare. Un inadempimento potrebbe configurarsi, ad esempio, solo in caso di rifiuto assoluto ed ingiustificato a negoziare.

Avv. Maria Bruschi


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