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La proprietà intellettuale di software e beni digitali: brevetti e diritto d’autore

Il mondo aziendale e quello digitale fortificano il proprio rapporto simbiotico ogni giorno che passa. È oramai impensabile concepire una realtà sprovvista di tutte le innovazioni informatiche e digitali che oggi pervadono, senza esclusione, ogni ambito lavorativo, e non solo. Alla base dell’innovazione di processo, dell’efficienza industriale e del lavoro "smart" si trovano i software; un importantissimo strumento che ha consentito negli anni di raggiungere risultati prima forse nemmeno immaginabili.


Per questo è importante acquisire un certo grado di consapevolezza e conoscenza in questo campo; così da potersi tutelare da ogni pericolo derivante dalla complessità e dall’incertezza di questo mondo, in continua e rapidissima evoluzione.




INDICE




Cos’è un software


Il software è un bene immateriale di natura logico-informatica, che consente ad un qualsiasi sistema elettronico di elaborazione (come un computer, ma anche uno smartphone), in sinergia con le componenti hardware (i supporti fisici/materiali), di svolgere determinate funzioni.


Più propriamente si considera software l’insieme delle istruzioni di un determinato programma, codificate in un particolare codice o linguaggio, generalmente memorizzate su supporti fisici (gli hardware).



La definizione normativa ed il quadro vigente


Come accennato il software rientra in una categoria di beni di tipo immateriale; e più specificamente, allo stesso modo di idee ed invenzioni, appartiene alla sfera della proprietà intellettuale (non rappresentando nell’immediato un bene concreto, unico e tangibile).

All’interno del quadro normativo italiano è la legge n. 633 del 1941 (protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), poi modificata dal D.lgs. n. 518 del 1992, che dà una chiara definizione di software:

“un programma per elaboratore in qualsiasi forma espresso purché originale, quale risultato di creazione intellettuale dell’autore”.


Il software si configura, dunque, come il risultato della creatività e dell’ingegno del suo programmatore; acquisendo così una propria forma espressiva, connotabile da un proprio livello di originalità che è però strettamente legata al suo aspetto logico-strutturale, e non è circoscrivibile a soli aspetti estetici, di interfaccia o qualitativi.

Ciò che è importante, quindi, nel riconoscimento della paternità del software, è l’idea di utilizzo e funzione partorita dal suo creatore, che si manifesta nel codice sorgente del programma.

Per tale motivo questa tipologia di bene si presta innanzitutto al riconoscimento della protezione del Copyright (la proprietà dei diritti d’autore), ed altresì, eventualmente, al riconoscimento della più completa, ma anche più selettiva, protezione del brevetto (la proprietà intellettuale del bene).


In Italia la disciplina relativa alla tutela dei diritti d’autore ha un carattere relativamente generale ed onnicomprensivo. Nel caso dei beni informatici è fondamentalmente uguale a quella prevista dal quadro normativo (così come descritta dalla legge n. 633, precedentemente citata) per qualsiasi altra opera letteraria ed artistica.

La sua gestione è di competenza della SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori).


La questione si complica, invece, per la disciplina che regola la concessione e la gestione dei brevetti; questa è molto più stringente, ma anche più efficace nella protezione da contraffazioni e plagi. Il quadro normativo di riferimento si declina: prima nel D.lgs. n.30/2005 (Codice della proprietà industriale) e successive modifiche, e poi nella Convenzione sul brevetto europeo (CBE), recepita dall’Italia come Stato firmatario e aderente.

Tra i criteri richiesti per l’ottenimento del brevetto rientra la necessità di sottoporre il prodotto da brevettare (il software) ad una attenta e selettiva analisi tecnica preliminare, per valutarne le caratteristiche.





La protezione del brevetto


Il brevetto, affinché possa essere riconosciuto come tale, deve rispettare alcune caratteristiche generali, che sono: l’originalità, la creatività e, infine, la sua applicabilità in campo industriale.

L’articolo 52, paragrafi (1); (2) CBE stabilisce che:

“I brevetti europei sono concessi per le invenzioni in ogni campo tecnologico, a condizione che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale. Non sono considerate invenzioni ai sensi del paragrafo 1 in particolare: a) le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; b) le creazioni estetiche; c) i piani, principi e metodi per attività intellettuali, per giochi o per attività commerciali, come pure i programmi informatici; le presentazioni di informazioni…”


Il paragrafo numero 3 dello stesso articolo giustifica, invece, un certo grado di libertà

interpretativa della norma, specificando che la condizione di non brevettabilità è propria delle categorie sopra elencate “in quanto tali” (condizione altresì presente nell’art. 45 del Codice della proprietà industriale italiano).

Grazie, quindi, ad un certo grado di lassità della norma e alla complicatezza e novità dell’universo informatico, è stato possibile estendere la brevettabilità a categorie di software che si esplicitino in degli scopi di tipo materiale; che vadano quindi oltre la normale interazione fra programma e computer, e non siano considerabili esclusivamente come software in quanto tali (quindi fini a sé stessi). Se nel caso dei diritti d’autore ad essere tutelato è il codice sorgente, in questo caso si tratta dell’algoritmo del software, che deve essere depositato come invenzione industriale all’ufficio brevetti.


Sono dunque brevettabili solamente determinate tipologie di software, a patto che abbiano degli effetti tecnici ulteriori all’azione stessa del software.

Gli effetti tecnici si possono manifestare sia all’interno del computer stesso (memoria e componenti hardware), sia all’esterno (sistemi di controllo di processi/apparecchiature). Così come ogni altro tipo di brevetto della stessa categoria anche quello per i software informatici ha durata ventennale.




Protezione del diritto d’autore


Il discorso è molto più semplice per quanto riguarda la protezione dei diritti d’autore del programma, i quali si manifestano per i software, come già detto, allo stesso modo di una qualsiasi opera intellettuale originale.

La protezione della paternità del software, a patto di rispettare la condizione di opera originale dell’ingegno, è garantita, dal momento della creazione dello stesso, dalle norme nazionali sui diritti d’autore. Questa tipologia di tutela riguarda il codice sorgente del programma, tutti i suoi output (suoni, parole o immagini) e le interfacce con gli utenti finali (insieme di immagini grafiche, messaggi e suoni che guidano l’utente all’intervento sui comandi dell’elaboratore), ma non propriamente la funzione del codice (il tipo di impiego del software e le funzioni che permette di svolgere).


Nello specifico viene riconosciuto all’autore la facoltà esclusiva di riprodurre, tradurre, adattare, trasformare, modificare e distribuire il programma stesso.

Al fine di rivendicare la paternità di un programma è necessario iscriverlo presso il Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore della SIAE.

I diritti di utilizzazione economica dell’opera durano per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dalla sua morte, mentre la proprietà intellettuale è protetta dalla data di creazione dell’opera.




Perché è importante agire


Un software di cui risulta registrata la paternità è difeso, in ogni caso, sia come brevetto, sia come semplice codice registrato alla SIAE, su tre diversi fronti: la contraffazione, l’autonomia, l’opera derivata. Questi tre aspetti precludono la possibilità a terze parti di poter creare software ad immagine e somiglianza di quelli già esistenti, apportando modifiche minime, rimanendo impuniti. Per quanto riguarda il programma con brevetto depositato la protezione riguarda altresì l’opera in maniera più comprensiva rispetto ai semplici diritti d’autore, permette di vantare la paternità anche della sequenza logica del software, e quindi, in sintesi, del risultato che consente di ottenere e della funzione che consente di svolgere. La sola inclusione nel registro, invece, non permette di vantare diritti di esclusività sulle idee alla base della creazione, ma fornisce comunque un livello di copertura totale su ogni abuso della propria opera da parte di terzi non autorizzati.


A seguito dell’esponenziale e rapidissimo sviluppo che il mondo digitale sta attraversando, da ormai più di vent’anni, l’utilizzo dei beni informatici, come parte cruciale della gestione aziendale e della catena di valore di numerosi settori, ha comportato l’insorgere di un numero sempre maggiore di controversie legali. In questo contesto l’arma migliore risulta proprio poter rivendicare, in maniera inequivocabile, i propri diritti intellettuali e di sfruttamento economico sui software oggetto delle controversie; in maniera da tutelarsi in modo intelligente ed efficace.




Conclusioni


Volendo concludere, dunque, sebbene l’ipotesi del brevetto fornisca una protezione più completa da ogni tipologia di riproduzione ed appropriazione della propria opera da parte di terzi, l’iter di richiesta e ottenimento, così come disciplinato dalle normative europee e nazionali vigenti, appare estremamente tortuoso e riservato in via esclusiva a particolari tipologie di software, che rispettino una condizione di finalità tecnico-applicativa, propria, ad esempio, dei processi industriali. Iscrivere il proprio programma nel registro dedicato della SIAE consente invece di rivendicare quei diritti di paternità, che nascono al momento della creazione stessa del prodotto, in maniera semplice e, sostanzialmente, senza le stringenti barriere della brevettabilità.


Per studio MB

Roberto Costa


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