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DERIVATI E SWAP ALLA LUCE DELLA PRONUNCIA DELLE SEZIONI UNITE N. 8770/2020.

Innanzitutto chiariamo che cos’è uno strumento derivato e a cosa serve.

Trattasi di un titolo di credito, che “deriva” il proprio valore dall’andamento del c.d. “sottostante”, ossia da un’attività o da un evento oggettivo e futuro di qualunque natura e/o genere (ad es. un altro asset finanziario o un indice di azioni, obbligazioni, valute, ecc.).

Il derivato viene contrattato soprattutto in mercati finanziari alternativi alle notorie Borse.

Essendo uno strumento finanziario (valore mobiliare), le sue principali funzioni sono quelle di: 1) coprire il rischio finanziario di un portafoglio preesistente; 2) esporsi al rischio sotteso dalla speculazione; 3) evitare il rischio attraverso transazioni di acquisto di un prodotto sul mercato (c.d. “arbitraggio”).

Stimare un derivato, e dunque comprenderne il valore, sottostà ad una complessa ma importante attività di analisi del relativo andamento legato a quello del “sottostante”.

Esistono vari tipi di derivato e in questo breve approfondimento ci occuperemo di swap.

Il derivato “swap” è infatti stato oggetto di una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: Cass. civ., SS.UU., sent. (ud. 08.10.2019) 12 maggio 2020 n. 8770 (che ha confermato il gravame d’appello, che aveva a sua volta riformato la sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Bologna, con cui erano state respinte le domande del Comune di Cattolica svolte nei confronti di BNL s.p.a.).

Innanzitutto la decisione delle SS.UU. ha chiarito definitivamente che nel nostro ordinamento non esiste una definizione generale dei contratti derivati, essendo nati dalla prassi finanziaria. Solo successivamente sono state recepite in ambito giuridico varie tipologie, che concorrono a formare la categoria del derivato.

A tal proposito viene richiamato l’art. 1 comma 2 bis del Testo Unico Finanziario, “che contiene una delega al Ministro dell’Economia e Finanze per identificare nuovi potenziali contratti derivati: nella sostanza il legislatore italiano ha seguito quello Eurounitario, optando per una elencazione di molteplici figure e lasciando all’interprete il compito della reductio ad unum, laddove possibile”.

In secondo luogo, la Corte ha approfondito la tipologia di derivato c.d. “swap” e specificamente il c.d. “interest rate swap (IRS)”, fornendo una definizione molto tecnica di questo contratto di scambio (swap) di obbligazioni pecuniarie future. In particolar modo si specifica che l’IRS “consistente in uno strumento finanziario rispetto al quale l’intermediario è tendenzialmente controparte diretta del proprio cliente […]. Non ha le caratteristiche intrinseche degli strumenti finanziari, e particolarmente non ha la cd. negoziabilità, cioè quella capacità di rappresentare una posizione contrattuale in forme idonee alla circolazione, in quanto esso tende a non divenire autonomo rispetto al negozio che lo ha generato. Inoltre, benché siano stipulati nell’ambito della prestazione del servizio di negoziazione per conto proprio, ex art. 23, comma 5, T.U.F., nei derivati OTC l’intermediario stipula un contratto (con il cliente) ponendosi quale sua controparte”.

Quello che è fondamentale comprendere è che NEL CONTRATTO DI SWAP SI ASSOMMANO NEL MEDESIMO SOGGETTO LE QUALITÀ DI OFFERENTE E CONSULENTE. Intermediario e cliente sono reciprocamente il medesimo soggetto, dove un Tale ha il dovere “di dare all'Altro la cifra d (dove d è la somma corrispondente al capitale 1 per il tasso di interesse W) a fronte dell'impegno assunto dell'Altro di versare al Tale la cifra y (dove y è la somma corrispondente al capitale 1 per il tasso di interesse Z)”.

È un impegno reciproco delle parti di pagare l’una all’altra, a date prestabilite, gli interessi prodotti da una stessa somma di denaro, presa quale astratto riferimento e denominato nozionale, per un dato periodo di tempo.

È bene anche comprendere che “in un dato momento lo squilibrio futuro (sopravvenuto) fra i flussi di cassa, che sia attualizzato al presente, può essere oggetto di nuove prognosi ed indurre le parti a sciogliere il contratto. Per compiere queste operazioni assume rilievo il cd. mark to market (MTM) o costo di sostituzione (meglio, il suo metodo di stima), ossia il costo al quale una parte può anticipatamente chiudere il contratto o un terzo estraneo all’operazione è disposto, alla data della valutazione, a subentrare nel derivato: così da divenire, in pratica, il valore corrente di mercato dello swap (il metodo de quo consiste, insomma, in una simulazione giornaliera di chiusura della posizione contrattuale e di stima del conseguente debito/credito delle parti)”.

Dopo aver elencato gli elementi essenziali del contratto in esame, così come individuati negli anni dalla giurisprudenza di merito, e dopo aver approfondito ulteriori aspetti dello swap, la Corte si è soffermata sulla problematicità della CAUSA del rapporto negoziale (validità e meritevolezza di tutela), evidenziando che “ciò che distingue l’IRS dalla comune scommessa è proprio la complessità della vicenda e la professionalità dei soggetti coinvolti, sicché l'impostazione più attenta rinviene la causa dell'IRS nella negoziazione e nella monetizzazione di un rischio, atteso che quello strumento contrattuale: - si forma nel mercato finanziario, con regole sue proprie; di frequente consuetudinarie e tipiche della comunità degli investitori […]; - è espressione di una logica probabilistica […]; - è il risultato di una tradizione giuridica diversa dalla nostra”.

In altri termini appare necessario verificare, ai fini della LICEITÀ dei contratti, se si è in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea. In tale quadro di corretto adempimento dell’attività d’intermediazione occorre rilevare anche la deduzione dei cd. “costi impliciti”, riconducendosi ad essi lo squilibrio iniziale dell’alea, misurato in termini probabilistici.

La corte ha così concluso, ritenendo utile considerare gli swap come negozi a causa variabile, in quanto “suscettibili di rispondere ora ad una finalità assicurativa ora di copertura di rischi sottostanti; così che la funzione che l’affare persegue va individuata esaminando il caso concreto e che, perciò, in mancanza di una adeguata caratterizzazione causale, detto affare sarà connotato da una irresolutezza di fondo che renderà NULLO il relativo contratto perché non caratterizzato da un profilo causale chiaro e definito (o definibile)”.

Infatti “l’intermediario finanziario è un mandatario dell'investitore, tenuto a fornire raccomandazioni personalizzate al suo assistito; sicché ove l'intermediario, nella prestazione del servizio, compia l'operazione quando doveva astenersi o senza il consenso dell'investitore, gli atti compiuti non possono avere efficacia, a prescindere dal fatto che la condotta dell'agente sia qualificata in termini di inadempimento o di nullità, con conseguente RISARCIMENTO DEL DANNO”, proprio perché – come sopra precisato – tra intermediario e cliente assume rilievo il conflitto di interessi dovuto dalla natura delle loro reciproche posizioni.

Da ultimo la Corte si è soffermata sulla questione sottesa al caso de quo (che vedeva contrapposti BNL s.p.a. contro il Comune di Cattolica): la stipulazione dei derivati, swap ed IRS, da parte degli enti pubblici in generale e degli enti locali, in particolare, specificando che si tratta di contratti che incidono sull’indebitamento del Comune e dunque devono essere autorizzati dal Consiglio comunale, a pena di nullità, ma limitatamente ad alcuni peculiari aspetti, come le spese che impegnano i bilanci per gli esercizi successivi, non trattandosi di mero atto di gestione dell’indebitamento dell’Ente locale.

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Studio Legale Bruschi.


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