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MALATI DI ALZHEIMER: CHI DEVE PAGARE LA RETTA DELLA RSA?

Aggiornamento: 19 mar

#MALATI DI #ALZHEIMER: CHI DEVE PAGARE LA #RETTA DELLA #RSA?

 

Pochissime persone sono a conoscenza del fatto che la retta per il ricovero RSA di un malato di Alzheimer non è a carico dei parenti del paziente bensì del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). A stabile questo importante risvolto sociale non è stata per la prima volta una storica sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4558, risalente al 22 marzo 2012 la quale ha stabilito che la retta, per l’appunto, deve essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale, e il Comune non può richiedere ai parenti dell'assistito il pagamento della quota sociale.

Il caso in esame riguardava la richiesta di restituzione da parte dei parenti di una persona affetta da morbo di Alzheimer della quota sociale versata al Comune per la degenza in RSA. Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Treviso diede ragione al Comune, sostenendo che le prestazioni di natura assistenziale gravavano sul Comune solo in caso di indigenza della persona assistita.

La Corte d'Appello di Venezia, tuttavia, riformulò la sentenza, sostenendo che, nella situazione specifica, le prestazioni sanitarie erano prevalenti rispetto a quelle assistenziali, dando quindi ragione ai parenti del paziente. Il Comune fece quindi ricorso in Cassazione, sostenendo la scindibilità delle prestazioni sanitarie e assistenziali.

La Corte di Cassazione confermò la decisione della Corte d’Appello, basandosi sull'interpretazione del diritto alla salute come ambito inviolabile della dignità umana sottolineando che, in generale, le prestazioni sanitarie devono essere erogate gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale secondo i livelli di assistenza definiti dalla legge di riforma sanitaria del 1978. La Corte respinse l'idea di una scindibilità delle prestazioni, sostenendo che, quando esiste una stretta correlazione tra prestazioni sanitarie e assistenziali con netta prevalenza degli aspetti di natura sanitaria, non vi è spazio per una determinazione di quote a carico del Comune.

La sentenza, sebbene si riferisca a una normativa ormai abrogata, ribadisce l'importanza del diritto alla salute come parte inviolabile della dignità umana e la necessità di considerare la situazione concreta e la natura prevalentemente sanitaria delle prestazioni nelle questioni di ripartizione tra sociale e sanitario.

 

Con questa sentenza iniziò quello che tutt’oggi è un dibattito aperto, non ancora purtroppo rispettato dalla gran parte delle Regioni e Comuni.

 

Negli anni sono susseguiti altri interventi in materia, anche contrastanti: di particolare rilevanza è bene ricordare l’intervento della Corte di Cassazione n. 22776/2016, l’intervento n. 617 del Tribunale di Monza nel 2017, quello del Tribunale di Roma (sentenza n.12180/2018) e il recentissimo chiarimento della Cassazione nel 2023 (sentenza n. 13714).

Nei casi sopra citati quello che maggiormente emerge è per l’appunto l’inesistenza di una scindibilità di prestazioni.

Per comprendere meglio l’evoluzione giurisprudenziale sopra citata, va anzitutto tracciato un quadro della normativa vigente.

La riforma sanitaria di cui alla legge n. 833 del 1978 aveva introdotto un principio cardine del nostro ordinamento: il diritto all’erogazione gratuita delle prestazioni di carattere sanitario.

L’art. 30 della legge n. 730 del 1983 aveva, di seguito, esteso la portata di tale principio, stabilendo, per la prima volta, che gravassero sul Servizio Sanitario Nazionale anche le “attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali”. Nella materia erano, successivamente, intervenuti il D.Lgs n. 502 del 1992 e il D.P.C.M. del 14.02.2001, a cui è subentrato il DCPM 12.01.2017.

 

La normativa distingue queste prestazioni in:

  • prestazioni sanitarie a rilevanza sociale di competenza e a carico delle aziende sanitarie locali;

  • prestazioni sociali a rilevanza sanitaria sono di competenza e a carico dei comuni con la compartecipazione alla spesa dell’utenza;

  • prestazioni socio-sanitarie a elevata integrazione sanitaria erogate e a carico del Fondo Sanitario nazionale.

Nel caso di pazienti affetti da morbo di Alzheimer, e più in generale da malattie neurodegenerative, la giurisprudenza ha sempre riconosciuto che questi ultimi necessitano di prestazioni facenti parte dell’ultima categoria quindi di prestazioni socio-sanitarie integrate e in quanto tali, come da norme riportate, risultano essere tutte a carico del SSN.

 

L’ultimo intervento recentissimo della Cassazione del 2023, specificatamente, chiarisce che il criterio rimane appunto quello “della integrazione tra le prestazioni, ovvero della unitaria ed inscindibile coesistenza dei due aspetti della prestazione, che ne produce l’integrale addossamento degli oneri economici sul Servizio Sanitario Nazionale”.

 

In particolare, la Suprema Corte, per giungere a tali conclusioni, ha precisato che:

 

1)     Quanto alla interpretazione della nozione di "prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria", questa Sezione (così, in motivazione, ord. 28 novembre 2017, n. 28321, che richiama, sul punto, Cass. Sez. 1, sent. 22 marzo 2012, n. 4558 e Cass. Sez. Lav, sent. 19 novembre 2016 n. 22776) ferma restando la tendenziale autonomia delle prestazioni socio-assistenziali, "nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano, invece, essere eseguite "se non congiuntamente" alla attività di natura socioassistenziale, tal ché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale in ogni caso la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni - di natura diversa - debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria essendo dirette a consentire la cura della salute dell'assistito, e dunque la "complessiva prestazione" deve essere erogata a titolo gratuito";"la disciplina del Servizio sanitario pubblico che assicura a tutti i cittadini livelli essenziali uniformi di assistenza sanitaria, con spesa interamente a carico della Amministrazione pubblica", concerne, per l'appunto, "la erogazione di prestazioni sanitarie o di prestazioni sanitarie "inscindibili" con quelle socioassistenziali, e che presuppone, pertanto, che l'assistito debba essere sottoposto ad un programma di trattamento terapeutico riabilitativo o conservativo".

2)     In sostanza, si è osservato, "l'elemento differenziale tra prestazione socio-assistenziale "inscindibile" e prestazione sanitaria e prestazione socio-assistenziale "pura", non sta, pertanto, nella situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistibile che nella struttura residenziale "(...)" "ma sta invece nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione assistenziale", e ciò perché in tal caso, "l'intervento "sanitario-socio assistenziale" rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all'assistito dal SSR, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, ed è quindi inserita a pieno titolo nell'ambito organizzativo e funzionale del Servizio sanitario pubblico".

3)     In definitiva, la Corte ha ravvisato nella "individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato" (e, dunque, non connotato da occasionalità) il discrimen per ritenere la prestazione socio-assistenziale "inscindibilmente connessa" a quella sanitaria e, quindi, soggetta al regime di gratuità propria di quest'ultima.

4)     Quanto ai soggetti gravemente affetti da morbo di Alzheimer, la Sezione Prima della Corte, con sentenza n. 4558/2012, ha chiarito che: "l'attività prestata in favore di soggetto gravemente affetto da morbo di Alzheimer ricoverato in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi della L. n. 730 del 1983, art. 30, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde, in quanto comunque dirette, anche ex D.P.C.M. 8 agosto 1985, art. 1, alla tutela della salute del cittadino; ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune". Quindi, nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano essere eseguite "se non congiuntamente" alla attività di natura socioassistenziale, cosicché non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale, in ogni caso, la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni -di natura diversa- debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalità necessaria, essendo dirette alla "complessiva prestazione" che deve essere erogata a titolo gratuito, dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l'intervento sanitario- socio assistenziale rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all'assistito, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, secondo un piano di cura personalizzato.

5)     Successivamente, la Sezione Lavoro di questa Corte (sent. n. 22776/2016) ha ribadito che "in tema di prestazioni a carico del S.S.N., la L. n. 730 del 1983, art. 30 - che per la prima volta ha menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali - deve essere interpretato, alla stregua della L. n. 833 del 1978 che prevede l'erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività, in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, va considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto di competenza del S.S.N. ".

6)     Proprio in applicazione di questi principi, la Sezione Prima della Corte di Cassazione ha recentemente respinto alcuni ricorsi (v. Cass. n. 16409, n. 16410, n. 19303 e n. 19305 del 2021), proposti da RSA operanti nel territorio della Regione Lombardia, volti ad ottenere, dai parenti dei ricoverati malati di Alzheimer, una integrazione della retta, ritenendo che, nella specie, il Tribunale, con accertamento in fatto non sindacabile, a fronte di una motivazione logica e coerente, avesse accertato che la patologia di cui erano affetti i degenti (morbo di Alzheimer) comportava un'attività intrinsecamente di carattere sanitario, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi della L. n. 730 del 1983, art. 30, stante la netta prevalenza delle prestazioni di natura sanitaria su quelle di natura alberghiera, in difetto di prova contraria, con conseguente irrecuperabilità della spesa mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente-degente presso la Struttura.

Stesso ragionamento è stato quello oggetto della recentissima sentenza della Cassazione Civile Prima Sezione n. 31379 del 22.02.2024 che ha rigettato il ricorso proposto dall’Asp, richiamando i numerosi precedenti giurisprudenziali (Cass. Sez. I 4.09.2023 n. 25660; Cass. Sez. III, 11.12.2023 n. 34590 e Cass., Sez. III, 24.01.2023 n. 2038). Con ciò diventa definitiva la decisione della Corte d’appello che, riformando la pronuncia del Tribunale, accoglie l’opposizione proposta dai familiari dell’anziano contro l’ingiunzione ottenuta dall’amministrazione per il pagamento delle spese di lungo degenza presso la propria struttura. Sbaglia il primo giudice quando ritiene che, viste le condizioni del paziente, le prestazioni erogate dovrebbero essere ricondotte nel quadro delle prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, rispetto alle quali è prevista una partecipazione dell’assistito alla spesa finale. Il punto, infatti, è proprio la patologia degenerativa di cui so􀃬re il paziente: le prestazioni sanitarie sono rivolte a contenere il progresso della malattia e possono essere erogate soltanto insieme all’attività socio-assistenziale. E quando non risulta possibile distinguere il rispettivo onere economico prevale in ogni caso la natura sanitaria del servizio.

Conclusioni

E’ pertanto necessario valutare caso per caso con molta attenzione con riferimento sia alla patologia che alla relativa documentazione di supporto. Questo consentirà di esprimere un parere legale preciso in merito alla fondatezza dell’azione legale.

Vi terremmo certamente aggiornati sull’evoluzione di queste vicende, per cui vi invitiamo a seguirci sempre sui nostri canali social e sul nostro sito.

 Avv. Maria Bruschi

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